Qualche avvisaglia di un possibile rallentamento dell’economia Usa era giunta nelle scorse settimane dalla lettura dei dati sul Pil del primo trimestre, andato peggio di quanto ipotizzato, con una crescita ai minimi da quasi due anni, e dai deludenti indici Pmi dei direttori acquisti.
I tassi non erano scesi perché era stata pubblicata l’inflazione statunitense risultata in moderato rialzo contro attese di stabilizzazione. Gli ultimi giorni della scorsa settimana hanno visto una nuova prova del rallentamento Usa: gli indici Ism manifatturiero e servizi sono risultati in calo e sotto la soglia di 50, spartiacque tra crescita e contrazione e, soprattutto, venerdì pomeriggio il mercato del lavoro ha visto le nuove buste paga salire di 175 mila unità, un livello decisamente inferiore alle attese di 238 mila e in calo rispetto al dato di marzo rivisto al rialzo a 315mila.
Inoltre, sale il tasso di disoccupazione al 3,9% dal 3,8% e le paghe orarie crescono meno del previsto (0,2% contro attese di 0,3%).
Questi dati hanno condotto a un rientro dei rendimenti e dei tassi americani, che hanno parzialmente coinvolto quelli europei. I Bond Usa 10 anni scendono al 4,50% (-10 cent.) in una settimana. Il Bund 10 scende al 2,47% dal 2,52% dell’inizio della scorsa settimana. L’Irs 10 scende al 2,74% dal 2,81%. Importante anche il rientro dei tassi attesi sul Libor Usa (tassi Future): per dicembre il Libor 3 mesi è atteso al 4,80% circa (-15 cent. nell’ultima seduta) dal livello attuale del 5,59%.
Per quanto sia stata priva di risvolti sul livello dei tassi, è doveroso ricordare che la passata settimana ha visto la Federal Reserve giudicare troppo lento il processo di rientro dell’inflazione Usa, stabilendo così per la sesta volta consecutiva una conferma del costo del denaro sui livelli attuali. La decisione con cui si è concluso il Federal Open Market Committee è stata adottata all’unanimità, così come all’unanimità si è concordato che non ci sono progressi in direzione dell’avvicinamento dell’obiettivo di 2% per la dinamica dei prezzi. Esclusa comunque l’opzione di una stretta monetaria, considerato che l’attuale costo del denaro – tra 5,25% e 5,5% l’obiettivo sui Fed Fund – resta sui massimi degli ultimi 23 anni.
Il dato occupazionale modifica dunque le attese sui tagli Fed: non è più escluso un taglio in estate e per fine anno tornano a essere probabili tre tagli e poi altri tre nel 2025. Un profilo decisamente diverso da quello che i mercati ipotizzavano a inizio anno (5-7 tagli Fed nell’anno in corso). In sostanza, il percorso di riduzione dello stimolo sarà più lento. La Fed forse vuole essere prudente anche in vista delle elezioni di novembre. I rendimenti Bond potrebbero avere ancora spazio di discesa a meno di una cpi che non convergesse verso le stime Fed.
In Europa l’Euribor 3 mesi (fixing al 3,82%) scende di un paio di centesimi. Assodato il taglio Bce il 6 giugno, i tassi Future per metà giugno post riunione indicano il 3,70%, per settembre 3,43% e per fine anno 3,20% (60 cent. in meno rispetto ai livelli odierni). Ciò significa tre tagli Bce nell’anno in corso. La Bce avrebbe spazio per tagliare anche quattro volte (tagli da 0,25%), ma un freno potrebbe arrivare dalla Fed.