Cause del rialzo dei tassi di origine Usa

Inflazione e prezzi alla produzione statunitensi superiori alle attese; trainati i tassi europei che si son portati su livelli poco coerenti con le previsioni Bce

L’inflazione e i prezzi alla produzione Usa superiori alle attese hanno condotto a un rialzo di circa 20 centesimi i tassi di interesse negli ultimi giorni.

Bund 10 anni al 2,45%, Irs 10 anni al 2,70% e Bond Usa 10 anni al 4,30%. Viene sostanzialmente annullato il calo che si era verificato dopo la riunione Bce del 7 marzo, le audizioni del Presidente Fed e i dati occupazionali americani che avevano cementato l’attesa per un primo taglio a giugno. Il rialzo non modifica questa aspettativa, ma conduce a una revisione del calo dei tassi attesi nel corso del 2024 (segui tassi e costo del funding su www.aritma.eu).
Dal fixing attuale al 3,94% l’Euribor 3 mesi è atteso scendere al 3,10% circa per fine anno cioè 85 cent. in meno (erano 105 10 giorni fa); questo significa tre tagli certi da parte della Bce e un accenno ad un quarto. I tagli Fed previsti ora sono quattro: poco tempo fa erano sei-sette.

Le cause del rialzo dei tassi sono tutte di origine Usa: quelli europei sono stati trainati e si sono portati su livelli poco coerenti con le previsioni Bce appena sfornate all’ultima riunione. Si conferma la “persistenza” dell’inflazione Usa, che potrebbe rendere cauta la Fed nel tagliare in modo significativo. I dati recentemente pubblicati hanno riacceso i riflettori su questo tema.

L’inflazione Usa di febbraio, mese su mese, vede un incremento del +0,4%, in linea alle attese. Il dato precedente era di +0,3%. Escluse le componenti più volatili degli alimentari e dell’energia, è salita del +0,4%, in linea al dato precedente, ma sopra le attese di +0,3%. Anno su anno, l’incremento è stato del +3,2%, sopra il +3,1% del periodo precedente e delle attese. Tolte le componenti volatili, il dato è sceso al +3,8%, dal +3,9% del periodo precedente. Anche se sopra le attese del +3,7% si tratta del ritmo più lento dal maggio 2021. I prezzi al consumo sono cresciuti in modo consistente a febbraio, a causa dell’aumento dei costi della benzina e degli alloggi, confermando una certa rigidità dell’inflazione che potrebbe ritardare il previsto taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve a giugno. L’aumento annuale dei prezzi al consumo è rallentato rispetto al picco del 9,1% del giugno 2022, ma il progresso si è arrestato negli ultimi mesi.
La nostra previsione per quanto riguarda la Cpi Usa 2024 è al 2,7-2,8% sulla parte alta del range di consensus (2,5-2,8%); l’inflazione Usa conferma che la riduzione sarà più lenta e meno intensa probabilmente di quella europea.

A corroborare l’ipotesi di un’inflazione Usa persistente è la pubblicazione dei prezzi alla produzione Usa di febbraio, mese su mese, cresciuti del +0,6%, sopra il +0,3% del periodo precedente e delle attese. Si tratta dell’incremento maggiore negli ultimi sei mesi. Esclusi alimentari ed energia, l’incremento è stato del +0,3%, in calo rispetto al +0,5% di febbraio, ma sopra le attese di +0,2%. Anno su anno, l’incremento è stato del +1,6%, dal +1% del periodo precedente, sopra le aspettative del +1,2%. Escluse le componenti volatili, è stato del +2%, in linea al periodo precedente, ma sopra le stime di +1,9%. I prezzi alla produzione Usa sono compresi nell’indice Pce sui consumi personali, l’indicatore sull’inflazione più seguito dalla Fed.

Il rialzo dei tassi – tutto di matrice Usa – oltre che dalla Cpi (consumer price index) e dalla Ppi (producer price index) è stato in parte amplificato dalle tre maxi aste di Treasury che comunque – a parte alcune tensioni su quelle a 10 anni – complessivamente hanno dimostrato che il mercato non ha problemi ad assorbire la montagna di carta in arrivo.

Sono diversi i motivi per cui si ipotizza una “persistenza” della Cpi Usa

motivi per cui ipotizziamo una “persistenza” della Cpi Usa sono legati alla tenuta dei consumi, alla tenuta del potere di acquisto grazie ai rialzi dei salari orari (+20% negli ultimi tre anni con un’inflazione salita in ugual misura), al patrimonio delle famiglie (rialzi azionari e rapporto debiti/attività su livelli bassi) e a un conseguente aumento del reddito disponibile. Tutto ciò dovrebbe consentire ai consumi di tenere. Inoltre, negli indicatori di inflazione Usa pesano molto gli affitti che, anche se in calo quelli accesi recentemente (escluso febbraio che ha visto un rialzo), scendono poco perché viene considerato lo stock. La Cpi è sotto la “core” per la disinflazione della componente energia che potrebbe aver finito il suo effetto, inoltre la componente servizi che pesa per due terzi sul Pil è labor intensive e – come detto – i salari sono alti. Tutto ciò potrebbe indurre la Fed a essere prudente a tagliare.

In settimana si avrà un quadro decisamente più preciso visto che sono in programma la riunione BoJ (banca del Giappone) e Fed, con quest’ultima che pubblicherà anche le nuove previsioni macro su crescita, inflazione, occupazione, fornendo inoltre una guidance sui Fed Funds. Tra i dati, rilevanza avranno gli indici Pmi direttori acquisti Usa ed eurozona, l’indice Zew tedesco e un intervento di Lagarde.

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